Bambola

La bambola è la riproduzione di un essere umano (adulto o bambino), comunque di una forma umanoide (non di un animale, in quel caso si tratta di giocattolo). Normalmente è realizzato in plastica o stoffa, ma anche in legnoporcellanaporcellana Biscuitgommacera e molti altri materiali.Alcune bambole sono veri e propri giocattoli per i bambini, ma altre hanno scopo decorativo o da collezione e hanno anche significati culturali, utilizzate in cerimonie o rituali come una rappresentazione fisica della divinità.

Gli scavi archeologici possono dirci che le bambole sono il giocattolo più antico ritrovato finora, infatti ne sono state rinvenute alcune nelle tombe egizie, risalenti circa al 2000 a.C.

Alla fine del XIX secolo si diffusero le bambole con la testa in biscuit, di cui uno dei principali produttori anche per altre fabbriche fu il tedesco Armand Marseille. Gli abiti e gli ornamenti riproducevano quelli delle classi agiate, ed erano di qualità abbastanza elevata.

In Italia furono famose quelle in panno lenci prodotte dal 1929 dalla ditta Lenci di Torino, oggi oggetto di collezionismo. La Val Gardena era famosa nell’800 per le bambole di legno scolpite e tornite prodotte a milioni ed esportate in tutta Europa ed America.

Le pigotte sono le bambole di pezza, un tempo fatte con gli stracci, oggi vengono costruite da volontari per la campagna Adotta una pigotta dell’Unicef.

Tipi di bambole

Matrioska

Una matrioska o matriosca (in russoматрёшка – matrëška ascolta), è un caratteristico insieme di bambole, tipico della tradizione russa, che si compone di pezzi di diverse dimensioni realizzati in legno, ognuno dei quali è inseribile in uno di formato più grande. Ogni pezzo si divide in due parti ed è vuoto al suo interno, salvo il più piccolo che si chiama “seme”. La bambolina più grande si chiama invece “madre”.

È il souvenir russo per eccellenza e un simbolo dell’arte popolare di questo paese.

La prima matrioska di cui si ha notizia risale alla fine del XIX secolo, un periodo che per la Russia fu, oltre che di grandi mutamenti sul piano sociale, epoca di grande sviluppo economico e culturale.

Nell’anno 1900, all’Esposizione mondiale di Parigi, la matrioska fu premiata e riconosciuta come simbolo della tradizione russa per la sua popolarità in tutto il mondo. Da allora ha rispecchiato nella sua espressione artistica la vita e la storia della Russia.

La matrioska più grande del mondo è stata costruita nel 2003 negli Stati Uniti ed è composta da 51 pezzi.

La nascita della matrioska viene convenzionalmente identificata negli anni a cavallo fra XIX e XX secolo. A idearla fu Savva Mamontov (1841–1918), fondatore del circolo artistico di Abramcevo.

Facoltoso industriale, collezionista d’arte e mecenate, Mamontov aveva allestito nella propria tenuta di campagna dei laboratori artistici riunendo attorno a sé pittori e artigiani dell’arte tradizionale dei contadini russi. Il suo intento era quello di far rifiorire e sviluppare questo genere artistico, e in tale opera era supportato dal fratello Anatolij (1839–1905), anch’egli imprenditore, editore e collezionista di opere d’arte russe.

Mamontov allestì contestualmente anche un laboratorio-negozio (“L’educazione infantile”) in cui venivano creati dei giocattoli per bambini, in particolare bambole etnografiche (almeno come tali verrebbero definite oggi) ovvero vestite con i costumi tradizionali regionali, ognuno diverso a seconda del villaggio di provenienza.

Mamontov importò anche molti giocattoli da ogni parte del mondo. A colpirlo fu un pezzo in legno importato dall’isola giapponese di Honsu e raffigurante un personaggio del buddhismo, il vecchio saggio Fukurokuju. Tale figura conteneva al suo interno altre quattro figurine.

I giapponesi sostenevano che la prima di quelle figure fosse stata creata da un monaco russo. Fu questo fatto, pare, a suggerire l’idea della realizzazione della prima matrioska. Il prototipo giapponese della matrioška potrebbe a sua volta derivare dalla tradizione delle scatole cinesi.

La prima bambola di legno composta da otto pezzi venne costruita ai primi del Novecento dal mastro Vasilij Petrovič Zvëzdočkin e colorata dall’illustratore di libri per l’infanzia Sergej Vasil’evič Maljutin, profondo conoscitore dell’arte popolare dei villaggi russi, il quale rappresentò la bambola con il vestito tradizionale locale, chiamandola Matrena (dal latino mater, “madre”). Si può considerare, quindi, che matrioska sia un diminutivo di matrena ovvero “matrona” e che rappresenti simbolicamente la figura materna e la generosità ad essa correlata, in cui si identifica spesso – anche nella cultura occidentale – nella fertilità della terra.
Le otto piccole bambole che componevano la prima matrioska rappresentavano, in ordine di grandezza, una madre, una ragazza, un ragazzo, una bambina ecc., fino all’ultima figura, quella di un neonato in fasce.

Kokeshi

Le Kokeshi (こけし kokeshi) sono un tipo di bambole tradizionali giapponesi, originarie della regione di Tōhoku. Realizzate manualmente in legno, hanno un busto semplice cilindrico e una larga testa sferica, con poche linee stilizzate a definire i caratteri del viso. Una caratteristica delle bambole Kokeshi è la mancanza di braccia e gambe.

All’inizio del Novecento divennero talmente famose, che in Russia furono prese a modello dall’inventore della prima matrioska. Oltre a ornare le case giapponesi, sono ritenute di buon auspicio contro la cattiva sorte e considerate un raffinato oggetto da collezione da regalare a persone molto speciali.

La scrittura convenzionale in hiraganaこけし, è stata decisa durante la Kokeshi National Convention (全国こけし大会) nelle terme di Naruko nell’agosto 1939; prima di ciò l’origine del termine non era chiara: esistevano perciò svariate scritture ateji come 小芥子, che significa piccoli papaveri.

Un celebre errore di traduzione dovuto agli ateji lo si può trovare in Looking for the Lost di Alan Booth; nel libro lo scrittore suggerisce che le bambole Kokeshi, in kanji “eliminazione del bambino” (子消し kokeshi), sarebbero feticci dedicati dalle madri ai propri bambini uccisi volontariamente dopo la nascita. Sebbene l’infanticidio fosse ancora praticato in Giappone nel 1900, non ci sono prove a favore della teoria di Booth, anzi; la parola “Kokeshi” stessa è originaria del dialetto Sendai, mentre in luoghi diversi le bambole erano conosciute con nomi differenti ai quali non si può applicare lo stesso significato.

La traduzione più valida resta quindi bambole (芥子 keshidi legno ( ki, ko) o piccole ( kobambole (芥子 keshi).

Le prime bambole Kokeshi furono in realtà realizzate dagli artigiani del legno, i cosiddetti Kiji-shi, sul finire del Periodo Edo (1600-1868). Create all’inizio come souvenir per i turisti in visita alle terme della prefettura di Miyagi, ebbero un successo tale da propagarsi in tutta la regione di Tohoku.

Il design dei Miiavatar per la console Nintendo Wii è ispirato alle bambole Kokeshi.

Si tratta di una lavorazione semplice ma richiedente molto tempo. Scelto il legno da utilizzare, lo si lascia asciugare per un lungo periodo, che può andare dai sei mesi ai cinque anni. Un esempio di legno usato per la creazione delle Kokeshi è l’Acero Giapponese.

Quindi il legno viene levigato e formato secondo i canoni attraverso un tornio; una parte sottile e cilindrica per il corpo e una più grossa, sferica o comunque tondeggiante, come testa.

Levigata ancora una volta, il corpo viene dipinto a mano con motivi floreali o vari, usualmente a rappresentare un kimono; la testa rappresenta generalmente un volto femminile. La bambola viene quindi ricoperta con uno strato di cera apposita per proteggerne i colori e darle lucentezza.

Esistono due tipi fondamentali di Kokeshi:

  • Le Kokeshi “tradizionali” (伝統こけし dentō-kokeshi) hanno solitamente un busto più lungo e una testa più piccola, e sono diffuse soprattutto nella Prefettura di Miyagi, in quella di Akita, di Iwate e di Yamagata. I disegni del busto e la loro forma sono però caratteristiche della zona di produzione, che sono rimasti pressoché invariati dalle origini.

La strada principale della città di Naruko, nella Prefettura di Miyagi è conosciuta come Kokeshi Street per via dei numerosi negozi artigianali specializzati nella produzione di queste bambole.

  • Le Kokeshi “creative” (新型こけし shingata-kokeshi) si distinguono da quelle “tradizionali” per il busto più corto e arrotondato da una parte, dall’altra per l’uso di colori e motivi più moderni; sviluppate e diffuse dopo la fine della Seconda guerra mondiale, possono essere trovate facilmente anche nelle grandi città, poiché non sono specifiche di nessuna zona del Giappone.

Daruma

Le bambole daruma (達磨 daruma), dette anche bambole dharma, sono figurine votive giapponesi senza gambe né braccia, che rappresentano Bodhidharma (Daruma in giapponese), il fondatore e primo patriarca dello Zen. I colori più comuni sono: rosso (il più frequente), giallo, verde e bianco. La bambola ha un volto stilizzato da uomo con barba e baffi, ma gli occhi sono dei cerchi di colore bianco. Usando dell’inchiostro nero, bisogna disegnare un solo occhio esprimendo un desiderio; se il desiderio dovesse avverarsi, verrà disegnato anche il secondo occhio.

A causa del loro basso centro di gravità, alcuni modelli di bambola daruma si raddrizzano da sole dopo essere state spinte da un lato. Per tale motivo sono diventate un simbolo di ottimismo, costanza e forte determinazione. Queste bambole derivano da un modello più antico di bambola che si raddrizza da sola, nota come il “piccolo monaco rotondetto” o “piccolo monaco sempre-in-piedi” (Okiagari-koboshi). Una filastrocca per bambini del XVII secolo descrive le bambole daruma dell’epoca in modo assai simile alle loro raffigurazioni moderne:

Bambole daruma nel tempio Daruma-ji, TakasakiGiappone

Hi ni! fu ni!
Fundan Daruma ga
Akai zukin kaburi sunmaita!
Una volta! Due volte!
Sempre il Daruma di rosso vestito
Incurante torna seduto!

Alcune bambole recano delle scritte sulle guance che descrivono il desiderio che il proprietario ha espresso, p.e. una richiesta di protezione per i propri cari. Il cognome del proprietario può essere scritto sul mento. Fino a che il desiderio non viene esaudito, la bambola viene esposta in un punto sollevato della casa, di solito vicino ad altri oggetti importanti come il Butsudan (un altare domestico buddista). È normale possedere una singola daruma per volta.

Le bambole Daruma di solito vengono acquistate all’interno o nelle vicinanze dei templi buddisti giapponesi, e hanno dimensioni variabili tra i 5 ai 60 cm d’altezza. Se la bambola daruma è stata comprata all’interno del tempio, il proprietario può riportarla perché venga bruciata. Le bambole comprate presso un tempio spesso sono marchiate e la maggior parte dei templi rifiutano di bruciare bambole che non hanno il loro marchio. Le bambole di solito vengono bruciate alla fine dell’anno. È un rituale di purificazione per far sì che il kami sappia che la persona che ha espresso il desiderio non ha desistito, ma è su un’altra via per realizzarlo.

Bambola vudù

La bambola vudù è un oggetto del folclore spesso raffigurato in opere di finzione, come film, libri e fumetti. Sebbene sia comunemente associato alla tradizione religiosa afroamericana del vudù, tale collegamento è ritenuto infondato.

La bambolina in pezza rappresenta una persona che deve essere oggetto di azioni da parte di chi esegue il rito, ad esempio guarirla da malattie o al contrario arrecarle dolore. Sulla bambola possono essere attaccati capelli o peli della persona stessa. Mediante questo oggetto possiamo controllare l’altro, questo grazie ai peli o capelli della bambola.

Bambola sessuale

La bambola sessuale, impropriamente detta bambola gonfiabile, è un giocattolo sessuale che tenta di imitare il corpo umano per consentire degli atti sessuali simulati. La bambola può consistere in un corpo completo, viso, arti e così via, o essere composta solo dalla parte pelvica o comunque degli orifici necessari alla copulazione (anovagina o pene e bocca). questi orifici sono in alcuni casi vibranti e possono essere rimovibili.

Queste bambole non devono essere confuse con i manichini anatomici (chiamati anche bambole anatomiche) che sono utilizzati durante interviste con bambini ritenuti vittime di abusi sessuali o come ausilio nell’ambito. Le prime bambole sessuali furono usate già nel 1600. Note come dames de voyage, queste bambole di cotone e stoffa venivano usate dai marinai francesi e spagnoli durante i lunghi viaggi in mare. Nonostante esistano delle testimonianze scritte sull’esistenza delle dame da viaggio, non è stata ancora trovata una versione originale.

Secondo una leggenda metropolitana il primo uomo ad ordinare una bambola sessuale fu lo stesso Hitler, il quale la commissionò nel 1941 al dottor Olen Hannusse. Pensata come uno degli oggetti vitali di ogni soldato del Reich, la bambola dalle fattezze ariane avrebbe permesso ai soldati una vita sessuale attiva senza il rischio di contrarre malattie veneree.

Tuttavia, una bomba degli alleati distrusse la fabbrica che avrebbe dovuto realizzare il progetto, denominato Borghild. Questo racconto presenta alcune falle:

  • Come mostrato precedentemente, le bambole sessuali esistevano centinaia di anni prima del governo del Führer.
  • Due giornalisti tedeschi, Rochus Wolff e Jens Baumeister, hanno ricostruito indipendentemente l’uno dall’altro il percorso filologico di questa leggenda. Il primo giornale a riportare la notizia fu Bildm il quale riporta come unica fonte il sito borghild.de, gestito da Norbert Lenz. Analizzando dettagliatamente il sito riportato, i due giornalisti hanno scoperto che la documentazione era inaccurata, e le foto erano delle costruzioni di fantasia.

Sul tema nel 2009 il regista Myles Grimsdale produsse il cortometraggio The Borghilde Project, con protagonista Jaye Davidson.

Pigotta

La Pigotta è oggi un gioco registrato dall’Unicef per sostenere l’infanzia nei paesi in via di sviluppo mentre un tempo, in varie zone della Lombardia, indicava una bambola di pezza fatta in casa, con materiali poveri (avanzi di tessuto e lana).

Nel 1988 Jo Garçeau, membro del Comitato Unicef di Cinisello Balsamo, creò la prima Pigotta a scopo umanitario. Da allora chiunque può creare una di queste bambole in modo autonomo (l’Unicef fornisce un cartamodello utilizzabile per la forma del corpo ma tutto il resto è lasciato alla creatività di chi la confeziona). Ogni Pigotta è corredata di una cartolina identificativa e viene adottata. Chi adotta una Pigotta contribuisce a tutte le attività che l’Unicef svolge a favore dell’infanzia (vaccinazioni, alimenti terapeutici contro la malnutrizione infantile). Nei primi 18 anni l’Unicef ha raccolto, attraverso la vendita delle Pigotte, 27 milioni di Euro.

Burattino

Il burattino è un tipo di pupazzo con il corpo di pezza e la testa di legno o altro materiale che compare in scena a mezzo busto, mosso dal basso, dalla mano del burattinaio, che lo infila come un guanto.

Lo spettacolo dei burattini è generalmente rappresentato all’interno di un casotto di legno, detto castello.

Il burattino va distinto dalla marionetta: tipo di pupazzo, in legno o altro materiale, che compare in scena a corpo intero ed è solitamente mosso dall’alto tramite dei fili.

Pinocchio, pur essendo nella terminologia moderna una marionetta, fu chiamato dal suo autore Collodi “burattino di legno” poiché all’epoca della scrittura del romanzo (“Le avventure di Pinocchio“, nel 1881) si usava il termine “burattino” per indicare un fantoccio mosso dai fili, mentre il termine “marionetta” era di scarso uso popolare ed era stato snobbato da alcuni scrittori dell’epoca perché veniva considerato un “francesismo”. Col tempo i termini “burattino” e “marionetta” sono cambiati, e Pinocchio oggi è classificabile come una marionetta (che nella storia originale si muove senza fili come un automa).

Il nome burattino si afferma nel Cinquecento (altre forme sono: capocciello, fracurrado, fantoccino). Deriva presumibilmente da Burattino, uno zanni della commedia all’improvviso, che a sua volta doveva il suo nome al mestiere dei buratini, cioè i setacciatori (abburattatori) di farina, che usavano lavorare con movimenti ritmici e ripetitivi.

Dal XIV secolo il termine viene usato anche per indicare la veste degli attori dalla testa di legno ed in seguito per gli stessi fantocci. L’etimologia di burattino da buratto inteso come “veste” non è corredata da nessuna prova, se non dall’opinione espressa nell’Ottocento da Yorick, pseudonimo di P.C. Ferrigni, giornalista della Nazione, che unì entusiasmo e molta fantasia nel comporre il suo Storia dei Burattini (Firenze 1884). Nelle aree dove la tradizione è ancora viva tale accessorio è chiamato “sottoveste”, “vestina” e mai “buratto”.

Il burattino si compone sostanzialmente da tre parti, identificabili in testa, mani e veste. Il materiale con il quale sono fabbricate le teste è solitamente leggero: cartapesta, stoffa, legno cavo, creta. L’interno della testa è cavo per permettere l’introduzione delle dita che sorreggono il fantoccio: in Italia, tuttavia, alcuni burattini la cui testa è costruita in materiale pesante come legno pieno o gesso, posseggono una maniglia posta all’interno della veste che permette all’animatore di impugnare il burattino non dall’interno della testa ma dall’apposita appendice. I burattini fatti in questo modo hanno una attaccatura delle mani del pupazzo posta più in basso per permettere all’anatomiadella mano umana di adattarvisi. In più, i burattini femminili sono solitamente privi della veste cava ma vengono animati dal basso con l’aiuto di un bastone: hanno per questo meno mobilità dell’antagonista maschile.

L’impugnatura del burattino avviene infilando il dito indice nel cavo della testa ed il pollice ed il medio nelle due braccia. In alternativa al medio, si può usare il dito mignolo.

La veste può essere all’italiana, alla russa, alla lionese, alla tedesca, alla inglese o alla jugoslava, a seconda del genere. Il burattino, avendo una discendenza meno nobile della marionetta ed essendo indirizzato ad un pubblico popolare, possiede pochi tratti caratteristici che ne consentono l’identificazione: sarà così che i diavoli avranno la veste completamente rossa, le principesse celeste, Pulcinella bianco, dottori e giudici nero eccetera. Poche suppellettili garantiranno a loro volta la riconoscibilità del fantoccio: la spada per il cavaliere, la corona per il re e così via.