Enigmistica

L’enigmistica è l’arte di comporre e/o risolvere enigmi e altri tipi di giochi basati sulla scoperta di parole e significati nascosti. Nel caso della composizione si parla più propriamente di enigmografia. Il termine deriva dall’enigma inteso come indovinello di tipo complesso e poetico, concetto esistente già dall’antichità; dal XIX secolo l’enigmistica moderna si è estesa a comprendere diverse centinaia di tipi di giochi, con regole precise. Ci sono due grandi gruppi di giochi enigmistici, quelli poetici o letterari, basati su frasi, parole e lettere, e quelli grafici o figurati, basati anche o soltanto su immagini.

Storia

Storicamente il primo tipo di enigma che è apparso è l’indovinello, che rappresentava pienamente il concetto classico di enigma: nascondere sotto un testo un significato che poteva essere semplicemente diverso ma anche a volte esoterico. Non per nulla sono noti i responsi degli oracoli, studiati attentamente per potere significare una cosa e il suo opposto: un esempio famoso è dato dalla frase in latino ibis redibis non morieris in bello, che a seconda di dove vengono messe le virgole può significare “andrai, tornerai, non morirai in guerra” oppure “andrai, non tornerai, morirai in guerra”.

L’indovinello più famoso dell’antichità è certamente quello che la Sfinge pose ad EdipoQual è l’animale che al mattino avanza con quattro zampe, a mezzodì procede con due e quand’è sera cammina con tre? La risposta di Edipo, “l’uomo, che da giovane cammina a quattro zampe, durante la sua età matura sulle due gambe e da vecchio ha bisogno del bastone”, costrinse la Sfinge a uccidersi. La parte che importa all’enigmista è però la differenza tra il senso nominale del testo e quello nascosto. “Mattino”, “mezzogiorno” e “sera” non sono infatti i momenti della giornata, ma rappresentano le fasi della vita dell’uomo. Questa storia è così importante per l’enigmistica che Edipo e Sfinge sono diventati nomi usuali tra gli appassionati.

Nella classicità l’indovinello poteva però anche essere impossibile da risolvere. La leggenda dice ad esempio che Omero morì per la vergogna di non avere risolto l’indovinello di un gruppo di pescatori di Ios, che faceva Quello che noi abbiamo preso, l’abbiamo lasciato; quanto non abbiamo preso, ce lo portiamo. La risposta erano le pulci che i pescatori si erano presi: quelle che erano riusciti a trovarsi addosso le avevano tolte, mentre le altre erano rimaste loro addosso. Un altro indovinello di questo tipo lo troviamo nella Bibbia, quando Sansone chiede ai filistei Dal divoratore è uscito il cibo, e dal forte è uscita la dolcezza. La risposta era “il leone che ho ucciso, e che nelle sue interiora aveva un favo di miele”: la soluzione in questo caso fu trovata con un aiuto esterno, ossia la moglie di Sansone.

Anche nella tradizione latina l’indovinello ebbe un grande seguito, ma ci furono anche altri giochi enigmistici, spesso sotto forma di giochi di parole. Ad esempio Cicerone terminò una sua lettera scrivendo Mitto tibi navem prora puppique carentem, cioè “ti mando una nave senza prua e poppa”. Togliendo la “prua” e la “poppa”, cioè la prima e l’ultima lettera, della parola “navem” otteniamo il saluto “ave”. Molto noto è anche un palindromo, nella forma di un indovinello che è un esametro latino:

in girum imus nocte, ecce, et consumimur igni

(ecco, andiamo in giro la notte, e ci consumiamo al fuoco: si parla delle falene)

Occorre ricordare anche l’opera di Nestore di Laranda (III secolo d.C.) e Trifiodoro (V secolo d.C.), che rielaborarono rispettivamente l’Iliade e l’Odissea sotto forma di lipogramma, dove in ogni canto non veniva usata la lettera corrispondente nell’ordine alfabetico.

Durante il Medioevo la cultura scritta era molto limitata: non è quindi difficile immaginare come ci siano rimasti ben pochi esempi di giochi enigmistici, e quelli che si trovano sono in latino. C’è però un’eccezione: il cosiddetto indovinello veronese. Questo testo risale a un periodo tra l’VIII e il IX secolo, rinvenuto nel 1924 e attualmente presso la Biblioteca Capitolare di Verona, e recita, in una lingua di transizione tra latino e italiano:

Se pareva boves, alba pratalia araba
(et) albo versorio teneba (et) negro semen seminaba

Una versione in italiano moderno è più o meno “Si portava dietro i buoi, e arava dei bianchi campi; teneva un bianco vomere, e seminava un nero seme”. La soluzione dell’indovinello è la scrittura: i buoi sono le dita, i bianchi campi le pagine, il vomere la penna d’oca e il seme nero ovviamente l’inchiostro. Anche se c’è chi, come Giampaolo Dossena, ritiene che questo non sia in realtà un indovinello, bisogna dire che ci sono molti esempi di indovinelli simili nella tradizione popolare italiana.

Facendo un salto di diversi secoli, arriviamo a Leonardo da Vinci, che lasciò traccia scritta di un nuovo tipo di gioco: il rebus. Abbiamo otto fogli di rebus “a specchio”, che si devono cioè leggere da destra a sinistra come tutti i suoi scritti; occorre tenere a mente poi che le regole sono molto più rilassate di quelle che abbiamo adesso, permettendo pronunce leggermente diverse. Due esempi:

Già con Leonardo si può vedere l’inizio di un nuovo periodo per gli enigmi, che diventano pane per i denti dei letterati e dei poeti di corte. In pratica il gioco più usato era l’indovinello, e le regole continuavano ad essere differenti da quelle attuali: non c’era insomma la differenza tra il senso apparente e quello reale, ma veniva direttamente descritto l’oggetto o il concetto da indovinare, anche se ovviamente il testo, poetico, cercava di usare termini che sviassero gli ascoltatori.

La prima raccolta di enigmi in lingua italiana apparve nel 1538: secondo lo stile logorroico del tempo era intitolata Sonetti giocosi da interpretare, sopra diverse cose, comunemente note, ed era opera di un maniscalco senese, Angiolo Cenni, che aveva fondato la Congrega dei Rozzi e si faceva chiamare Il resoluto. Quasi contemporaneo è Gian Francesco Straparola, nato a Caravaggio verso la fine del XV secolo e vissuto tra Bergamo e Cremona. Si sa molto poco di lui: già il cognome potrebbe essere uno pseudonimo. Nel 1550 in una prima edizione, e poi nel 1553 in una versione ampliata, lo Straparola pubblicò a Venezia le Piacevoli notti, una serie di fiabe e novelle ciascuna delle quali, tranne una, veniva conclusa da un enigma da risolvere. Molti di questi enigmi erano anche esplicitamente copiati da versioni che circolavano al tempo, e parecchi presentavano il soggetto in maniera che sembrava licenziosa. Non per nulla lo Straparola è stato malvisto nella storia della letteratura italiana. Altre raccolte di quel periodo sono a nome di tale “Madonna Daphne di Piazza” e “Damon Fido Pastore”, pseudonimi cui non si sa dare un nome.

Dopo una serie di altri enigmografi minori, si passa finalmente a un nome noto: Giulio Cesare Croce. L’autore di Bertoldo e Bertoldino scrisse due libri di enigmi: Notte sollazzevole di cento enigmi da indovinare, aggiuntovi altri sette sonetti del medesimo genere con le loro dichiarazioni nel fine (Bologna, 1594) e Seconda notte sollazzevole di cento enigmi da indovinare. Trattenimento nobile per ogni spirito gentile e virtuoso, aggiuntovi altri otto sonetti del medesimo genere (Bologna, 1601). Le opere, soprattutto la seconda, rivelano un trattamento che supera di molto le versioni popolari da cui gli enigmisti traevano lo spunto. Anche Michelangelo Buonarroti il Giovane (1568-1646), pronipote del più noto omonimo, ha una produzione più “moderna”, per così dire, in cui si notano già dei giochi di parole (il boccale “divino”, o indicato come “bocca” e “ale”). Forse gli enigmi composti da Tommaso Stigliani sarebbero stati molto interessanti, ma la maggior parte di essi non c’è giunta perché messa all’Indice a causa della licenziosità. Merita però mostrare l’ottava relativa alle forbici, un tema classico del tempo, per dare un’idea di come gli enigmi venissero proposti.

Enigmistica moderna

Il passaggio all’enigmistica moderna si ha quando si iniziano a dare delle regole precise per i giochi enigmistici, che tendono sempre più ad essere per l’occhio e non per l’orecchio. Ad esempio, cieli – elci è un anagramma per l’orecchio, visto che entrambe le parole hanno gli stessi fonemi (/tʃ/; /ɛ/; /l/; /i/); ma un gioco che abbia questa soluzione viene ormai irrimediabilmente bollato come “sbagliato”.

Occorre anche tener presente che in nazioni come la Francia questa regola è leggermente rilassata, anche perché la lingua si presta agli omofoni più dell’italiano, e quindi gli enigmisti locali non vogliono privarsi di una fonte di giochi.

Nascita del cruciverba

Il piccolo ambiente enigmistico era impegnato in diatribe teoriche, e le riviste fiorivano e sfiorivano. Si possono ricordare la Diana d’Alteno fondata da Demetrio Tolosani (Bajardo) e uscita tra il 1891 e il 1944, La Corte di Salomone tra il 1901 e il 1958, Penombra nata nel 1920 e ancora pubblicata. Venne anche creata un’associazione: la S.F.I.N.G.E., Società Fra Iniziati Nei Giochi Enigmistici (o, latinamente, Sodalicium Fecunditatis Ingeniorum Nobili Gaudio Eliciendae). Ma l’enigmistica classica doveva conoscere la spietata concorrenza di un nuovo gioco “americano”, il cruciverba.

Eccettuati il quadrato magico “sator arepo tenet opera rotas” e le “parole incrociate” di Giuseppe Airoldi (un semplice

Close-up of crossword puzzle with copy space in squares

quadrato 4×4 pubblicato nel 1890), il cruciverba fu inventato da un giornalista di Liverpool, Arthur Wynne, che lo pubblicò nel numero natalizio del 1913 del supplemento al quotidiano statunitense World. La trovata chiave fu l’inserimento delle caselle nere, che aumentarono enormemente il numero di schemi costruibili.

Per una decina d’anni il gioco vivacchiò; poi, di colpo, il successo gli arrise, e fu esportato anche in Europa. Il primo schema italiano apparve nel 1925 sulla Domenica del Corriere, mentre nel 1932 nasceva La Settimana Enigmistica. La reazione degli enigmisti classici italiani fu quasi rabbiosa: Tolosani, ad esempio, lo qualificò “imbecilloso, con esempi da schiaffi e spropositi da can barbone”.