Fumetti

Il fumetto è un linguaggio costituito da più codici, tra i quali si distinguono principalmente il testo (di cui sono esempio i cosiddetti “fumetti”, da cui il nome del linguaggio nel suo complesso, o le didascalie) e l’immagine (per mezzo di illustrazionicoloriprospettivamontaggio), che insieme generano la temporalità (armoniaritmonarrazione). Un testo pubblicato secondo tali modalità è detto fumetto o albo a fumetti.

Hugo Pratt definisce il fumetto come “letteratura disegnata”, mentre Will Eisner lo definisce come “arte sequenziale”. Ora, poiché il fumetto è in larga parte utilizzato a fini narrativi e illustrativi, è spesso chiamato coerentemente “letteratura disegnata”, in quanto rientra nei canoni etici (messaggio, metafora, esempio) e in quelli estetici (descrizione, riflessione, narrazione, dialogo) della letteratura propriamente detta; vi è anche da dire, però, che il fumetto può essere utilizzato anche a scopi non narrativi: ad esempio, per illustrare una ricetta di cucina o il libretto di istruzioni di un elettrodomestico. Un celebre esempio di uso non narrativo del fumetto è il volume Capire il fumetto. L’arte invisibile, saggio scientifico realizzato interamente a fumetti da Scott McCloud. Se dunque intendiamo il termine letteratura come insieme di scritti, narrativi e non (tra questi rientra anche, ad es. la saggistica), che concorrono alla proposizione di idee, concetti, nozioni e sentimenti utili all’educazione dell’essere umano (definizione del termine “letteratura” che noi abbiamo familiare e che è possibile reputare come “corrente”), allora è evidente come le due definizioni non collimino completamente tra loro. Faremo meglio quindi a definire, a scopo didattico, due idee di fumetto: una di fumetto come mezzo di comunicazione o genericamente linguaggio (campo proprio del termine “arte sequenziale”), e una di fumetto come opera narrativa o saggistica contenente un significato letterario (c. pr. del termine “letteratura disegnata”).

Lo stesso McCloud descrive il fumetto come «immagini e altre figure giustapposte in una deliberata sequenza, con lo scopo di comunicare informazioni e/o produrre una reazione estetica nel lettore». In ogni caso, appartiene a pieno titolo alla categoria delle più moderne arti visuali, in un’era che – privilegiando soprattutto l’immagine – è in grado di accostare la visionarietà pop di Andy Warhol alla grazia e alla poesia dell’art decò e dell’art nouveau, per approdare al (relativamente) recente fenomeno del vintage.

Il termine “fumetto” si riferisce alla “nuvoletta”, simile a uno sbuffo di fumo, utilizzata per riportare il dialogo tra i personaggi (detta in inglese balloon). Nonostante il termine “fumetto” abbia dato il nome, in Italia, al mezzo di comunicazione stesso, nel fumetto non solo le nuvolette sono deputate alla traslazione dello scritto. Vi possiamo trovare infatti anche onomatopee iconiche, didascalie interne o addirittura la didascalia, esterna alla vignetta, solitamente denominata ‘cartiglio‘. È curioso notare come, nonostante il termine fumetto si sia impresso come idea per designare questo mondo espressivo, nei primi anni in cui si diffondeva in Italia, il fumetto non aveva affatto fumetti. Infatti, sino a partire dalla prima metà degli anni venti, in concomitanza con l’autarchia fascista, un congresso costituito per l’occasione, con numerosi intellettuali di regime (tra cui spiccava come coordinatore del gruppo l’autore futurista Tommaso Marinetti) decise di non pubblicare le vignette provenienti dall’estero con gli originari baloon, ritenuti un mezzo tanto barbaro e triviale da risultare diseducativo per i bambini, originari destinatari delle tavole pubblicate sui giornali dell’epoca, ad esempio sull’appena nato Corriere dei Piccoli, ma rendere muta la vignetta aggiungendo, nello spazio vuoto sotto la vignetta, un cartiglio illustrativo in rima, solitamente ottonari o novenari in rima baciata. Solo successivamente, nell’immediato dopoguerra, si principiò a utilizzare sistematicamente i veri e propri “fumetti”.

Negli USA e nei paesi anglofoni i fumetti sono indicati come comics (o comic books, ossia, letteralmente: “libri umoristici”, nomenclatura derivata dai primi fumetti pubblicati in albo, che erano per lo più di taglio umoristico), mentre in Giappone vengono chiamati manga (“immagini in movimento”). In Francia si usa l’espressione bande dessinée (“striscia disegnata”), comunemente abbreviata in BD o bédé, e in lingua spagnola i termini historieta o tebeo.

In poche parole, il fumetto, nato per gli adulti (come si vedrà più avanti), diventato poi “territorio” per l’infanzia, è quindi tornato a essere patrimonio di una fascia non esclusivamente giovanile. Nonostante l’espandersi di altri mezzi di comunicazione di massa, accompagna ancor oggi – fino a “dettarne” in molti casi ritmi, tempi e modi (o quantomeno limitandosi a registrarne il divenire) – il vivere (ed il convivere) quotidiano.

Storia

Prima di fine Ottocento

La storia di questo linguaggio, fenomeno diffusosi nel corso del Novecento ma con radici nel secolo precedente, può essere fatta risalire a diverse epoche, quando si è verificata la necessità di associare testi a immagini o rappresentazioni.

Per qualcuno la storia del fumetto risalirebbe sino alla preistoria, e specificamente alle pitture rupestri, che per prime mescolavano immagini per significare resoconti di caccia, vita quotidiana o determinate idee o desideri.

Nella necropoli di Saqqara compare la cappella funeraria dedicata all’architetto Ankhmahor, dove le raffigurazioni sono inframmezzate da iscrizioni che, oltre a descrivere i soggetti raffigurati, riportano anche i dialoghi fra questi ultimi.

Nell’antichità classica le decorazioni dei bottegai dell’Impero Romano rappresentavano la merce accostandovi frasi di invito, mentre la Colonna Traiana (113 d.C.) narra con un ritmo spirale le fasi della conquista della Tracia. Similmente l’Arazzo di Bayeux ritrae con una tecnica vicina al moderno fumetto la storia della conquista normanna dell’Inghilterra.

Tipica del periodo medioevale è l’illustrazione con funzione religiosa: le scene sequenziali della vita di Gesù e del calvario, le bibbie dei poveri (libretti di poche pagine dove a immagini della storia sacra erano abbinate a versetti biblici o didascalie in latino), le vetrate illustrate delle cattedrali gotiche e le rappresentazioni di santi e angeli dalla cui bocca escono parole in forma di nastri (un’idea forse ispirata dai filatteri ebraici).

È chiaro che discorsi di questo genere sono difficilmente risolvibili, soprattutto perché, nella sua storia, l’uomo ha continuamente usato le immagini per significare determinati concetti o esplicare una qualche narrazione. Persino le prime lingue, come è possibile immaginare, erano esemplate sopra vere e proprie immagini disegnate, come i geroglifici o in generale i pittogrammi. Questo perché l’immagine, contrariamente alla parola scritta mediante un alfabeto, conserva in sé un immediato carattere di iconicità, che permette dunque al fruitore di comprendere discorsi semplici nell’immediato, senza bisogno di un linguaggio complesso (come può essere un linguaggio astratto sottoposto alle norme grammaticali), anche se diventa oscuro quando non praticamente inutile in un numero veramente ampio di casi (generalmente, quasi ogni qualvolta si implichi una comprensione di fatti complessi, non lineari o astratti). Definire il fumetto come “l’arte più antica” (anche quando si consideri l’arte secondo i nostri schemi estetici, che sono tutt’altra cosa rispetto a quelli di un uomo primitivo o a quelli di un uomo classico) pare quindi essere un’azione non lecita, semplicemente perché anacronistica. Il fumetto come è oggi inteso, nonostante abbia così vicini parenti, non può essere nato (almeno come atto volontario) prima del XIX secolo.

Il fumetto moderno

Yellow Kid

Il personaggio che nell’Ottocento diede il via all’industria del fumetto statunitense come fenomeno di massa fu Yellow Kid, il bimbo nato dalla fantasia di Richard Felton Outcault e caratterizzato da un camicione giallo su cui venivano scritte le battute che pronunciava. Comparve per la prima volta sul New York World del 7 luglio 1895. Il personaggio è tanto famoso che dà nome a un importante premio italiano del fumetto; tuttavia, stando a ricerche successive, il primo fumetto moderno risalirebbe a molto prima, e precisamente ai personaggi del ginevrino Rodolphe Töpffer, autore di volumi a fumetti quali Histoire de Mr. Vieux-Bois (1827) e Dr. Festus (1829).

Il fumetto trova il suo ambito essenziale nel quotidiano, al quale giornalmente vengono allegate strisce orizzontali da tre/quattro vignette, contenenti un episodio autoconclusivo o una parte di una storia a puntate, e settimanalmente (nello specifico nell’inserto domenicale) vengono allegate intere tavole (gabbie da tre/quattro/cinque strisce per un totale di 9/12/16 vignette). Il mercato dei cosiddetti fumetti sindacati (perché distribuiti dalle corporazioni sindacate, come la United Features Syndacate ecc.) si dividono per generi sostanzialmente in due filoni, quello delle comic strips (strisce di genere comico, solitamente autoconclusive) e quello delle story strips (storie a trama, di vario genere, solitamente a puntate). Molti fumetti decidono per il taglio feriale, apparendo sei giorni la settimana con tre/quattro vignette al giorno; altri invece optano per l’uscita settimanale (considerata più pregiata perché solitamente a colori); altri ancora, escono sia in striscia che in tavola, anche se di solito, sia per esigenze creative e grafiche, che per differenza di pubblico (chi comprava il giornale tutti i giorni spesso non lo comprava la domenica e viceversa) si cercava di mantenere, qualora la storia fosse a puntate, due filoni narrativi differenti, uno feriale (per le strisce) e uno festivo (per le tavole) e quindi due storie parallele dello stesso personaggio che si svolgevano una sei giorni la settimana e una solo alla domenica. Tra i primi e più citati, oltre a Outcault, Winsor McCayLyonel Feininger.

Negli anni antecedenti la guerra nasce il comic book, che acquisisce subito un grande successo per via della possibilità di acquistare qualcosa che sia interamente a fumetti (simile all’inserto domenicale, ma più comodo e più facilmente celabile ai genitori, che usualmente non amavano questo genere di pubblicazioni). Sul comic book (quello che noi chiamiamo albo, e che deriva direttamente dalle dime novels e dagli albetti pulp) appaiono storie a puntate di diversi personaggi, come negli inserti domenicali, e come nelle future riviste ombrello. Non è una coincidenza, infatti, che i più longevi personaggi nati in questo periodo, come Superman e Batman, siano appunto nati su riviste contenitore rispettivamente Action Comics e Detective Comics e non su albi singoli (editorialmente rischiosissimi).

Mentre il fumetto sindacato mantiene grandi vendite (si arriva facilmente ai milioni di copie vendute, vista la diffusione e il prezzo dei quotidiani cui sono allegati) il comic book rischia spesso di affogare, prima per problemi editoriali, poi per problemi sociali (è il periodo della “corruzione degli innocenti” e del “Comics Code Authority”) ma ne esce diventando, almeno in America, un mercato florido.

Diversa è la situazione in altri paesi, specie in Italia, dove il fumetto vive gli stessi patemi ma non le stesse vendite americane. Oltre al Corriere dei Piccoli, nascono anche in Italia riviste contenitore che accolgono le uscite d’oltreoceano, ma che ospitano anche i talenti nostrani, in un periodo, quello degli anni trenta

, di grande sperimentazione (con personaggi quali il Kit Carson di Rino Albertarelli, pioniere del genere western, le avventure di Dick Fulmine o le imprese fantascientifiche di Saturno contro la Terra). Sperimentazione che si riaccende nel secondo dopoguerra, per portare agli albi a strisce e poi agli albi odierni, dal formato bonelli (ormai formato paradigmatico dell’avventura nelle sue più varie declinazioni) a quello Diabolik (tipico dei gialli), e generando una delle più fervide e interessanti letterature fumettistiche del Novecento, con personaggi che vanno dai semisconosciuti Asso di Picche agli eroi passati come Il Comandante Mark, alle autorità incontrastate come Tex, Diabolik, Topolino, Dylan Dog, Martin Mystere, passando per capolavori ormai quasi persi alla memoria, dal Maestro di Mino Milani, alle storie di Un uomo un’avventura, a Gli Aristocratici di Alfredo Castelli, e a icone che hanno segnato il secolo, da Corto Maltese di Hugo Pratt a Ken Parker di Berardi e Milazzo. La formula più di successo in Italia, dove il mercato è rimasto sostanzialmente di nicchia (e il fumetto è considerato un’arte per poveri, alla stregua degli USA e contrariamente alle opinioni per esempio del pubblico francese o nipponico) è quella del fumetto seriale, che solitamente propone in volumi di brossura dalle 90 alle 200 pagine storie autoconclusive vissute dal personaggio o dai personaggi della serie, uscenti in edicola o in libreria con cadenza regolare (solitamente mensile, più raramente bimestrale, quasi mai trimestrale e meno ancora bisettimanale o quindicinale, uscita solitamente riservata alle riviste spillate). Contrariamen

te, altrove (per esempio in Francia e in Belgio, ma anche in Giappone) il fumetto è concepito più alla stregua di romanzo a puntate, e le uscite, solitamente irregolari, di un albo di una serie (in Francia e in Belgio di solito cartonato da 48/64 pagg., in Giappone tascabile brossurato da 200/300 pagg.) sono concepite come nuovi romanzi di un ciclo avente gli stessi protagonisti, piuttosto che come un’abitudine ric

orrente. Questi formati, inoltre, determinano grandi vendite anche grazie alla grande quantità di pubblico medio (che in Italia non legge fumetti o perché li ritiene di poco valore artistico o perché non legge in generale).

Nella seconda metà del 900 gli illustratori diventano fumettisti oltre che pittori, le loro illustrazioni diventato ope

re d’arte og

getto di mostre, critici e ampi spazi museali, in Italia a fare la storia del fumetto vediamo Hugo PrattFernando Carcupino e Guido Crepax.

Dagli anni ottanta in poi, e specialmente negli ultimi due decenni, il mercato si è aperto a un nuovo genere stilisti

co, quello delle graphic novel, ossia romanzi a fumetti, autoconclusivi e non legati a una serie, o comunque concepiti come episodici e non seriali.

Realizzazione

La realizzazione di un fumetto comprende diversi passaggi, che partono dall’idea fino ad arrivare alla stampa:

  • soggetto, la trama sintetizzata della storia. Formalmente identico a quello usato per qualsiasi mezzo narrativo, dal romanzo al cinema;
  • sceneggiatura, la descrizione dettagliata di tutta la storia. La sceneggiatura comprende la descrizione di luogo e tempo dell’azione, dell’azione stessa, dei dialoghi, delle didascalie e delle onomatopee. Sovente include indicazioni sulle inquadrature e sul numero di vignette in cui suddividere la tavola. Ogni sceneggiatore usa indicazioni e metodi di scrittura diversi;
  • documentazione, tutto il materiale, sia visivo che testuale, necessario alla realizzazione dell’opera. Vengono spesso usati riferimenti fotografici, nel caso di fumetti con ambientazioni realistiche, documenti storici, iconografici, ecc.;
  • studi, tutti i disegni preparatori, che comprendono la visualizzazione di ambienti e personaggi. Particolarmente importanti quelli relativi ai Personaggi Principali, che devono essere perfettamente definiti, per risultare riconoscibili da vignetta a vignetta. Fondamentali gli studi di costumi e ambientazione nel caso di fumetti storici.
  • storyboard, la prima visualizzazione della storia. Ogni tavola viene disegnata, vignetta per vignetta, in maniera approssimativa, per scegliere le migliori inquadrature e valutare l’ingombro visivo del testo (balloon, didascalie, onomatopee). In questa fase vi possono essere modifiche anche sostanziali alla sceneggiatura, come cambi di inquadratura, accorpamenti di sequenze o scomposizione di vignette;
  • matite, si procede quindi ad un ulteriore definizione. Lavorando su un formato uguale o più grande di quello di stampa, la tavola viene disegnata in ogni dettaglio;
  • inchiostrazione, le matite vengono ripassate a china. Gli strumenti più usati sono il pennello di martora, pennini, pennarelli. La quantità di neri pieni, e lo spessore del tratto varia molto, in base allo stile di disegno;
  • colorazione, al disegno in bianco e nero vengono aggiunti i colori. Quasi tutti i fumetti oggi vengono colorati con l’uso di software. Gli strumenti più usati oltre al computer sono acquerelli ed ecoline;
  • lettering i testi vengono apposti nei balloon e nelle didascalie in buona grafìa, operazione eseguita a mano fino alla fine del secolo scorso, oggi il lettering è realizzato al computer, tranne in alcuni casi particolari;

A queste fasi si aggiungono tutte quelle relative alla produzione di una rivista o di un libro: la correzione delle bozze, l’impaginazione grafica, la produzione di testata e copertina. Il tutto coordinato da un supervisore, che può essere un curatore editoriale (supervisore del progetto), o l’editore stesso.

Le diverse fasi della produzione possono essere svolte dalla stessa persona o da diverse figure che collaborano alla realizzazione del prodotto finito. Nelle grandi case editrici che producono periodici (riviste o albi di serie) a cadenza fissa, il processo è suddiviso piuttosto rigidamente in diverse figure professionali. La suddivisione più comune è quella tra sceneggiatore (soggetto, sceneggiatura), disegnatore (storyboard, matite), inchiostratore (chine), colorista (colorazione) e letterista (lettering).

Al di fuori delle logiche produttive vincolate a scadenze fisse e grandi apparati redazionali, tutti i ruoli possono essere suddivisi più liberamente, e spesso i diversi gradi di definizione di sceneggiatura e storyboard variano molto, in base al tipo di rapporto che esiste tra sceneggiatore e disegnatore e la loro possibilità di comunicare direttamente.

Nel caso che tutto il lavoro sia compiuto da una sola persona, detto solitamente autore, alcune fasi possono essere abbreviate o saltate completamente. Nel caso delle autoproduzioni non è raro che l’autore si occupi di ogni fase, compresa la distribuzione e la vendita.

Fumettisti

In italiano il termine di gran lunga più comune, ma tecnicamente errato, per indicare chi lavora alla realizzazione di un fumetto, è fumettista. Ma fumettista è in realtà solo colui che, all’interno della catena di produzione del fumetto industriale, ha il compito di inserire i testi all’interno delle “nuvole”, i fumetti propriamente detti. Queste figure erano in passato chiamate anche cartonisti – termine divenuto di pubblico dominio dopo l’intervento dello sceneggiatore Carlo Chendi, curatore della Mostra Internazionale dei Cartoonists di Rapallo – con il quale si indica un generico lavoratore nel campo del fumetto, preferenzialmente un disegnatore. Il termine è caduto in disuso anche per l’ambiguità che manifesta col settore dell’animazione, i cui lavoratori erano anche nominati cartoonist o cartonisti. Oggi non è più possibile usare questo termine per il lavoro del fumettista. Una interessante definizione, tutta italiana, data da Sergio Bonelli, riferendosi al padre Gianluigi quando doveva definirne il mestiere, è fumettaro. Quest’ultimo termine, con connotazioni dispregiative, non è un termine tecnico, ma una definizione ironica riguardo a un artigiano dei fumetti (da qui il termine dal suffisso romanesco -aro, di fumettaro). In ogni modo, anche la parola fumettaro ha una serie di significati spesso in contrasto tra loro: esso può indicare infatti, l’autore di fumetti, il venditore di fumetti o il consumatore di fumetti (fumettaro come “lettore di fumetti”). Tenendo conto che il suffisso di cui è composto, -aro, è un suffisso di professione romanesca, omoradicale dell’italiano -aio (ad es: a Firenze “fornaio”, a Roma “fornaro”) lo si può accostare al termine, ad esempio, di giornalaio. La stessa incertezza di nomenclatura implica lo storico disinteresse da parte dei grandi mezzi di comunicazione e dello stato, che non hanno mai avuto alcun interesse ad elevare la cultura dei consumatori di carta. Un termine largamente usato in passato, ora invece specializzatosi per indicare “disegnatore di vignette satiriche, solitamente per quotidiani, spesso di tema politico”, è vignettista.

Lavorazione

Il primo passo è creare la storia, una trama che leghi i disegni presenti nelle pagine. Nella stesura della sceneggiatura si descrivono in modo particolareggiato le vignette, scegliendo il tipo di inquadratura, la grandezza e ogni dettaglio che risulti fondamentale alla narrazione. Terminata la parte scritta si deve passare alla organizzazione delle pagine. Si procede abbozzando su un foglio le nostre pagine. All’interno si disegnano a grandi linee le vignette e il loro contenuto. Una volta che lo schizzo della pagina ci soddisfa (questo può richiedere numerosi tentativi) si ingrandisce la bozza, a mano o con un fotocopiatore e si disegnano tutti i particolari. L’ultimo passo da compiere è l’inchiostrazione e, eventualmente, la colorazione. Se si vuole si possono aggiungere delle ombre e/o degli altri particolari.